giovedì 20 giugno 2013

LA CRISI CHE ATTANAGLIA L'ECONOMIA GENERA UNA VOGLIA LATENTE DI IMPRENDITORIA GIOVANILE

La crisi del lavoro, la necessità di reinventarsi e il fermento che si sta registrando nel mondo delle startup stanno generando un potenziale latente di imprenditoria che ancora non riesce a svilupparsi. “E le sue dimensioni sono notevoli: sono 300.000 gli italiani che non solo intendono creare una propria impresa o supportarne una, ma che hanno già un progetto in mente in un settore definito.
ll 21,9% intende avviare la propria attività nel settore ristorazione, mentre le tecnologie digitali catturano l’interesse del 13,7% degli intervistati: in particolare il 7,4% intende investire in servizi web come e-commerce, comunicazione digitale e piattaforme di co-working, mentre il 6,3% punta alla progettazione software e allo sviluppo di app: è un segno evidente delle potenzialità offerte dalle tecnologie digitali nella creazione di opportunità lavorative”.
Questi sono i dati che emergono dalla prima ricerca condotta da Italia Startup, l’Associazione no profit che rappresenta l’ecosistema delle startup italiane, in collaborazione con Human Highway.
Italia Startup ha chiesto a un campione di 947 persone come intenderebbero investire un’inaspettata eredità di 200.000€ da un fantomatico zio d’America.
Le tre risposte che hanno ottenuto più consensi sono figlie della crisi economica: il 30,9% desidera avere la certezza della casa comprandone una; il 23,2% intende pagare i debiti oppure il mutuo mentre il 20,9% sceglie la temporanea fuga di un viaggio o di una vacanza da sogno.
Ma al quarto posto, con il 18,8%, degli intervistati si posizionano coloro che desiderano supportare un’iniziativa imprenditoriale: il 16,5% degli intervistati vorrebbero utilizzare i soldi per un proprio progetto imprenditoriale, mentre il 2,3% li impiegherebbe in un’impresa di amici e conoscenti.
All’interno di questo 18,8%, però, il 32,4% sarebbe disposto a investire meno della metà o una parte limitata dei 200.000€, mentre il 67,6% è disposto a rischiare una parte consistente del patrimonio: sono quei 3,5 milioni di italiani (12,2% degli intervistati) che rivelano una maggiore propensione all’imprenditorialità.
Per verificare la maturità di questa propensione, l’indagine ha poi analizzato la presenza di un’idea imprenditoriale negli intervistati e solo il 40,9% ha rivelato di avere un progetto abbastanza preciso (30,2%), ben definito (9,2%) o già avviato (1,5%).
Infine come ulteriore controprova dell’aspirazione all’imprenditorialità, è stata riscontrata la propensione a investire il proprio finanziamento in un settore specifico. L’82,6% ha rivelato di avere già identificato il settore: corrisponde all’1,1% degli intervistati, pari a circa 300.000 italiani.
Non è un caso che proprio l’ipotesi di ricevere una donazione di 200.000€ abbia scatenato il desiderio imprenditoriale degli italiani: tra i principali inibitori della libera iniziativa c’è proprio la scarsità di risorse finanziarie per dare corpo al proprio progetto. Per 8 aspiranti imprenditori su 10 questo è il principale ostacolo. Al secondo posto tra i fattori inibitori, nettamente distaccato dal primo, si classifica la difficile congiuntura economica, che blocca il 20,6% degli intervistati. Il mancato reperimento di amici o colleghi disposti a rischiare nel progetto ferma invece l’11,1% degli aspiranti imprenditori.
È interessante notare come tra coloro che mostrano propensione all’imprenditorialità ma non intendono rischiare la maggior parte dei 200.000, è meno diffusa la percezione della mancanza di soldi, che si attesta al 67,2% e trova più spazio la sfiducia generata dalla difficile congiuntura economica (30,4%).

Ufficio Stampa : S&Q

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1 commento:

  1. LA PARTITA IVA – Nel Bel Paese le Partite IVA non si aprono solo per vocazione, ma anche ed in gran parte per disperazione.
    Il disoccupato cronico o il lavoratore dipendente rimasto senza lavoro a causa della fabbrica costretta a chiudere, rifiutando il sommerso, per sopravvivere tenta la via del lavoro autonomo aprendosi una Partita IVA.
    Ne consegue una moltitudine di adempimenti richiesti da enti, per lo più inutili, ed agenzie dello Stato che alimentano un esercito di funzionari ben stipendiati e ben determinati a scovare qualsiasi segno o virgola non in linea coi dettami del potere repressivo, i quali, immuni da responsabilità per le interpretazioni personali dei codici e regolamenti, hanno un gran da fare nel controllare movimenti, obblighi ed anomalie che gravitano intorno ad una Partita IVA.
    Per contrastare cotanto accanimento, un altro esercito composto da commercialisti, consulenti fiscali ed avvocati si nutre in questo calderone di norme, regole e demenziali decreti.
    Al nuovo possessore di Partita IVA, dopo essersi indebitato per aprire la sua attività, ben presto arrivano le prime cartelle di pagamento per tasse ed imposte varie, le quali, mentre nei paesi civili sono da pagarsi solo in proporzione ai redditi conseguiti, nel Bel Paese al contrario, si pretendono dei minimi fissi, eccessivamente gravosi, che sono da pagare sin dal primo giorno di iscrizione anche se, per scarsa esperienza professionale ed economia in recessione, si realizza un reddito da fame o, addirittura, si va in perdita.
    Pertanto, rendendosi conto che gli incassi che riesce a realizzare non bastano a coprire i debiti accumulati, né a pagare tributi e balzelli vari imposti dalle relative autorità e non riuscendo più a sfamare la sua famiglia, il lavoratore autonomo non può fare altro che immergersi in quel sottobosco di attività illecite provocato dall'imponente oppressione fiscale e burocratica.
    Non solo, anche dopo aver cessato la sua attività cosiddetta legale, continua per anni ad essere perseguitato con richieste di chiarimenti, verifiche, aggiustamenti ed esose sanzioni che hanno più il sapore dello strozzinaggio che della legalità.
    Nella storia della Repubblica non c'è mai stata una caccia così spietata allo sfruttamento dei cittadini.
    da CocoMind.com - La voce del dissenso

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